La chiesa, edificata
sulla cripta, risale al sec. XI ed
evidentemente fu costruita dai monaci
Benedettini, alla cui comunità non
bastavano più i locali, pur già
ampliati, della cripta. Nel sec. XII ai
Benedettini subentrarono i Cistercensi,
che pur con alterne vicende, sono tuttora
presenti.
Fu consacrata solennemente nel 1305,
verosimilmente dopo restauri radicali.
Dal 1763 al 1765 il palazzo abbaziale
ospita il Vescovo ed il capitolo
canonicale e la chiesa diventa nuova
Cattedrale di S. Severino.
La
facciata della chiesa è costituita
dall'alta Torre Campanaria, nel
caratteristico stile
"sanseverinate" dei primi anni
del sec. XIV. Di forma rettangolare, è
alta 27 metri. Presenta due parti ben
distinte. L'inferiore, circa un terzo di
tutto il complesso, mostra materiali più
omogenei, bella pietra bianca squadrata
con alcuni cunei in marmo. Deve essere
stata iniziata in modi romanici in epoca
anteriore al 1305, data in cui, per la
consacrazione della chiesa, fu
presumibilmente terminata la torre.
Questa parte grava sull'atrio, che ha
ancora un arcone a sesto acuto, sistemato
al tempo in cui fu ultimata la
sovrastante parte gotica della torre.
Nel fondo si disegna
l'arcaico portale romanico. È molto
semplice e quasi disadorno, a tre
pilastri ed una semicolonna in pietra,
disposti in piani degradanti, stretti in
mezzo da una fascia e sormontati da
archivolti in pietra. L'opera è
sicuramente riferibile all'XI secolo. La
parte superiore è invece tutta in
mattoni; sulla sommità si aprono quattro
bifore con colonnine circolari ed
archetti trilobati. al di sotto dei
finestroni gira tutt'intorno alle pareti
un fregio di archetti trilobati in
laterizio, disposti a centina.
INTERNO
L'interno
della chiesa è di forma basilicale a tre
navate, divise da cinque colonne
cilindriche in pietra tagliata a cuneo.
Nella stessa maniera sono costruiti i
piloni dell'arco principale e le antiche
mensole che sovrastano le volte rifatte
delle due navate laterali.
La navata centrale è sopraelevata; gli
archi di valico sono involtati a tutto
sesto meno due, il terzo ed il quarto di
sinistra, che sono a sesto acuto. Le
coperture sono quasi interamente a
crociera.
Nella navata di sinistra il Battistero
del 1572, fatto innalzare dall'Abate
Commendatario Mons. Giulio Parisiani.
La parte inferiore è costituita da un
cippo circolare, spartito da cinque
infossature, che risale indubbiamente ad
epoca anteriore, se non classica come
alcuni vogliono, facilmente all'età
romanica. La costruzione lignea è del
tempo; ha la forma di edificio
ecclesiastico ed è lavoro molto
accurato. Sulla porticina bella tela del
Battesimo di Gesù. Una conca circolare
in pietra fa da raccordo alle due parti.
Elevata su dodici gradini la Tribuna,
vasta tanto da formare una grande aula
quasi quadrata con volta terminata a
peducci.
In origine anche la tribuna era decorata
con colonne in continuazione di quelle
della navata di sotto, ma furono
abbattute nel 1625 dall'Abate
Commendatario Mons. Ceuli per dare più
spazio alla chiesa superiore. Lo stesso
abate fece aprire le finestre per dare
più luce.
L'altar maggiore non ha alcun pregio
artistico. È del secolo XVIII, costruito
in muratura e dipinto in finto marmo.
Nell'urna sotto la mensa sono le reliquie
dei santi Ippolito e Giustino, martiri
settempedani.
Il Coro invece è un buon lavoro in noce
del XVI e XVII secolo. Curioso il
piazzamento dell'organo al posto dello
stallo abbaziale.
Sulla parete di sinistra un antico
Crocifisso proveniente dalla vetusta
chiesa abaziale di S. Michele in Domora,
qui trasportato dai monaci nel 1393
quando quella abbazia si riunì a questa
di San Lorenzo. L'ornato che lo racchiude
è dello scultore Venanzio Bigioli.
Sulla parete di fronte, troppo in alto in
verità per essere ammirata,
bell'immagine di San Lorenzo del
Pomarancio, racchiusa in una mirabile
cornice in legno dorato del secolo XVIII.
Inoltre una copia della tavola di Lorenzo
d'Alessandro, rappresentante la
Natività, ora in Pinacoteca.
Sulla sinistra si apre la cappella di S.
Filomena vergine settempedana dei primi
secoli del cristianesimo. Da qui si passa
nella Sacrestia, un'ampia costruzione
della fine del XIII secolo. Si sviluppa
in due campate quasi quadrate, delimitate
da un grande arco acuto, poggiato su due
peducci laterali. La copertura è a
crociera, su costoloni in cotto. L'aula
era un tempo interamente affrescata sia
nella volta che nelle pareti.
L'affresco centrale di Lorenzo Salimbeni,
firmato e datato al 1407, rappresenta una
Crocifissione, quasi interamente
distrutta. A sinistra S. Bernardo, S.
Eustachio e S. Lorenzo. Notare la
mirabile colorazione propria dei fratelli
Salimbeni: la dalmatica di S. Lorenzo
diventa argentea e vi si rivelano certi
toni diafani chiari, oltre alle consuete
tonalità in fragola e in marrone.
Cripta
E' senz'altro la parte più interessante
della chiesa. Si tratta di una
stranissima doppia costruzione con due
aule e due absidi. La parte più antica
è la prima che incontriamo entrando e
nella quale alcuni riconoscono parte
dell'antico tempio romano della dea
Feronia.
È un locale quadrilatero, diviso in tre
ambienti, quasi tre piccole navate, da
due grandi arconi a tutto sesto che
sorgono dal pavimento e sorreggono le
volte a crociera di semplice fattura. Il
nicchione o abside del mezzo forse era il
luogo dove si celebravano i sacrifici. Le
mura di questa cripta sono di pietra
travertina cornea e di gesso. Osservando
l'esterno della piccola abside si vedono
blocchi rettangolari di pietra e una
piccola cornice: il loro stato di usura e
la loro forma fanno credere che un tempo
fossero a contatto con l'aria e gli
agenti atmosferici.
L'ambiente fu ampliato verso il IX o X
secolo. Il nuovo vano è scandito in tre
parti da quattro colonne, impostate su
più regolari volte a vela.
L'abside in fondo aveva funzione di coro
per i monaci.
L'ordine dei Cistercensi
Ebbe inizio il 21 marzo 1098. I fondatori
furono San Roberto di Molesme,
Sant'Alberico e Santo Stefano Harding.
Questi tre santi benedettini si misero a
capo di un movimento di rinnovamento
spirituale il cui intento era quello di
vivere in pieno la Regola di San
Benedetto, alterata nel corso dei secoli
da influssi mondani. Era il ritorno alla
"puritas", alla semplicità
della Regola, ristabilendo così
l'equilibrio dell'Ora et Labora. Dal
luogo di fondazione, Citeaux (Cistercium)
nei pressi di Digione in Francia, i
seguaci di tale movimento furono chiamati
Cistercensi.
Gli inizi del nuovo Ordine furono
difficili, tanto difficili da temerne
l'estinzione. Per il tenore di vita che
si conduceva a Citeaux, vita aspra e
rigida, le vocazioni scarseggiavano.
L'abate Stefano, a cui era toccato il
governo della comunità, offriva
suppliche accorate a Dio affinché desse
un segno di continuità all'Ordine, Dopo
14 anni il segno di continuità venne con
Bernardo di Clairvaux (1090-1153) che nel
1112 entra a farsi monaco a Citeaux con
30 compagni, scelti tra i suoi parenti.
L'estinzione veniva scongiurata; era
l'inizio di una nuova vita. Bernardo
darà una svolta decisiva: con la sua
entrata in monastero, Citeaux non è più
capace di contenere l'ondata di
postulanti attratti dal fascino
spirituale e dalla forza di persuasione
presenti in Bernardo.
Si aprono le prime abbazie filiali di
Citeaux, tra cui Clairvaux (Chiaravalle),
alla cui guida è inviato come abate lo
stesso Bernardo. Per la costruzione delle
loro abazie ricercano luoghi solitari;
per questo si impone loro un immane
lavoro di bonifica. Zone paludose,
inestricabili selve vengono trasformate
dal paziente lavoro dei monaci, dando
origine a luoghi di pace, di silenzio di
contatto col Divino. I "monaci
bianchi", come vengono chiamati,
sono apostoli e pionieri di civiltà.
Nella spiritualità e nella mistica
segnarono nuove vie. Nella liturgia
riportarono la sobrietà e la
semplicità. Nella agricoltura
riportarono nella società l'amore e
l'importanza del lavoro campestre;
escogitarono nuove tecniche di bonifica e
di irrigazione, ad esempio le marcite nel
milanese). Nell'architettura crearono uno
stile tutto proprio, sobrio e dignitoso,
di cui ancora oggi possiamo ammirare la
bellezza.
I Fratelli Salimbeni
Pochissimi sono i documenti lasciatici
dai Salimbeni, così che le tappe della
loro vita devono essere lette e dedotte
dalle opere.
Si sa comunque che erano figli di un
lanaiolo, Salimbene di Vigiliccio; che
Lorenzo, il maggiore, era senza dubbio la
personalità più spiccata e prorompente
dei due; che nel 1406 entrambi
scomparvero da Sanseverino per
ricomparire nel 1416 ad Urbino. Che cosa
fanno in quei dieci anni? Lo studioso
d'arte Pietro Zampetti ipotizza che i due
fratelli abbiano seguito il grande
Gentile da Fabriano, il quale in quegli
stessi anni raggiunge Venezia ed è poi
attivo in Lombardia nel momento di
massima fioritura del gusto
"cortese".
Un'ulteriore prova della circolazione
delle idee, degli stili e degli artisti
fra il centro ed il settentrione d'Italia
in questo particolare momento.
È possibile indagare sul rapporto tra i
due fratelli pittori e rendere giustizia
a Jacopo Salimbeni, individuando come
suoi parecchi dipinti presenti a
Sanseverino e nella vicina San Ginesio,
attribuiti fino ad ora al più celebre
Lorenzo, ma sicuramente opera del più
schivo fratello minore. Lorenzo infatti
firmava le sue opere da solo, come nelle
Storie di San Lorenzo della sacrestia di
San Lorenzo in Doliolo a Sanseverino, o
con il fratello, mentre il modesto Jacopo
non ha lasciato nessuna firma. È dunque
una sottile indagine filologica quella
che può restituire a Jacopo la sua
personalità, per esempio riconoscendo la
sua mano nei dipinti della cappella di
Sant'Andrea in quella chiesa di San
Lorenzo dove nello stesso tempo il
fratello affresca la sacrestia.
Un buon esempio comunque di squadra che
rese i due fratelli famosi, ricercati ed
assai agiati. Lo dimostra la lite che si
accese dopo la morte di Lorenzo
(presumibilmente intorno al 1420) tra la
giovanissima vedova Vanna ed il suocero
sulla spartizione dei beni dell'artista.
L'arte non salvò mastro Lorenzo
dall'avidità dei parenti.
Domizia Carafoli
Chiesa di San Lorenzo in
Doliolo
L'antica chiesa di S. Lorenzo in Doliolo,
secondo la tradizione, venne costruita
dai Monaci Basiliani nel VI sec. sulle
rovine di un tempio pagano, probabilmente
quello dedicato alla dea Feronia.
L'attuale chiesa venne edificata sulla
cripta di un preesistente tempio sacro
nel XI sec. da alcuni monaci benedettini
ai quali non bastavano più i locali
ipogei. Rimaneggiata nel XVII sec. e in
successive epoche, conserva nella
facciata evidenti testimonianze
dell'originaria costruzione e la
slanciata torre campanaria a bifore
risalente al sec. XIV.; alla base del
campanile si apre un caratteristico
portale romanico.
L'interno ha un impianto basilicale a tre
navate divise da colonne cilindriche in
pietra, la zona presbiteriale è
sopraelevata e le volte sono a crociera.
Nella chiesa è possibile ammirare un
dipinto del Pomarancio raffigurante S.
Lorenzo e un antico crocifisso risalente
al XIV sec., il cui ornato fu eseguito da
Venanzio Bigioli. Le opere di maggior
pregio artistico sono conservate nella
sacrestia, un'ampia sala risalente al
XIII sec. che venne adibita a refettorio
dai monaci e nella cripta. In dette
costruzioni sono infatti contenuti
affreschi dei celebri pittori
settempedani Lorenzo e Jacopo Salimbeni.
La sacrestia è stata restaurata alcuni
anni fa e le poche pitture rimaste sono
tornate al loro antico splendore, in
particolare l'affresco firmato e datato
1407 da Lorenzo Salimbeni rappresentante
una Crocifissione.
La cripta presenta un curioso impianto
planimetrico: essa è una costruzione con
due aule e due absidi, il locale diviso
in tre piccole navate è formato da due
grandi archi a tutto sesto che partendo
dal pavimento, sorreggono le volte a
crociera.
Anticamente la cripta era interamente
affrescata, ma l'azione del tempo,
dell'uomo e dell'umidità hanno provocato
gravi danni alle preziose opere d'arte.
Gli affreschi meglio conservati sono
stati staccati, restaurati e conservati
in Pinacoteca.
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