22- Chiesa di San Lorenzo in Doliolo

Sita in via Salimbeni, la chiesa abbaziale benedettina di San Lorenzo in Doliolo, con la sua allungata pianta basilicale a sei campate su robuste colonne e il grande presbiterio sopraelevato sulla cripta, costituisce un interessante esempio di architettura romanico-gotica e un documento molto importante nel contesto della pittura locale del primo Quattrocento. In mancanza di documenti sicuri, risulta assai difficile datarla con precisione, poiche la fisionomia romanica appare molto alterata da interventi che si sono succeduti in varie epoche. La tradizione la vuole eretta nel VI secolo limitatamente alla parte anteriore della cripta, distinguibile da quella posteriore a tre navatelle, riferibile al IX-X secolo. La costruzione della basilica superiore è attribuita all'XI secolo, come pure il portale a triplice risalto. Del XIV secolo è la torre campanaria addossata alla facciata della chiesa. Alla parete della navata sinistra è stato recentemente sistemato un affresco strappato dalla sagrestia raffigurante una Crocifissione e Santi e una Santa Margherita. Un quadro pittorico più completo lo offre la cripta dove, oltre ad avanzi di affreschi del XIV secolo, spicca il ciclo pittorico costituito dalle Storie di San t 'Andrea attribuito ai fratelli Salimbeni. Nel sottarco tra il primo e il secondo vano della cripta sono narrati due avvenimenti della vita del Santo. Nelle quattro vele della volta è rappresentato, in quattro episodi, il martirio: il santo in carcere con vari personaggi tra cui Massimilla, intenti a liberarlo, i preparativi per il martirio, la crocifissione e infine la deposizione dalla croce. Nella sagrestia sono stati recentemente riportati alla luce frammenti di affreschi monocromi attribuiti ai fratelli Salimbeni.

   

BASILICA DI S. LORENZO IN DOLIOL .
.Secondo la tradizione fu costruita nel VI sec. dai monaci Basilia- .ni sulle rovine del tempio della dea Feronia. Sul primitivo edificio, trasformato in cripta, sorse nell'XI- XII sec. la chiesa benedet-
tina di impianto basilicale. Rimaneggiata nel XVII sec. e in epo- .che successive, conserva nella facciata tracce consistenti del .primitivo edificio e una bella tor- .re campanaria a bifore (XIV sec.) .alla cui base si apre 1'antico por- .tale romanico. L'interno è ricco di .opere d'arte, vi si custodiscono af- .freschi dei fratelli Salimbeni, tra I cui il ciclo delle storie di S. An- I drea. Il monastero annesso fu ra- I dicalmente trasformato nel XVIII sec. in un palazzo alla romana.



La chiesa, edificata sulla cripta, risale al sec. XI ed evidentemente fu costruita dai monaci Benedettini, alla cui comunità non bastavano più i locali, pur già ampliati, della cripta. Nel sec. XII ai Benedettini subentrarono i Cistercensi, che pur con alterne vicende, sono tuttora presenti.
Fu consacrata solennemente nel 1305, verosimilmente dopo restauri radicali. Dal 1763 al 1765 il palazzo abbaziale ospita il Vescovo ed il capitolo canonicale e la chiesa diventa nuova Cattedrale di S. Severino.

La facciata della chiesa è costituita dall'alta Torre Campanaria, nel caratteristico stile "sanseverinate" dei primi anni del sec. XIV. Di forma rettangolare, è alta 27 metri. Presenta due parti ben distinte. L'inferiore, circa un terzo di tutto il complesso, mostra materiali più omogenei, bella pietra bianca squadrata con alcuni cunei in marmo. Deve essere stata iniziata in modi romanici in epoca anteriore al 1305, data in cui, per la consacrazione della chiesa, fu presumibilmente terminata la torre.
Questa parte grava sull'atrio, che ha ancora un arcone a sesto acuto, sistemato al tempo in cui fu ultimata la sovrastante parte gotica della torre.

Nel fondo si disegna l'arcaico portale romanico. È molto semplice e quasi disadorno, a tre pilastri ed una semicolonna in pietra, disposti in piani degradanti, stretti in mezzo da una fascia e sormontati da archivolti in pietra. L'opera è sicuramente riferibile all'XI secolo. La parte superiore è invece tutta in mattoni; sulla sommità si aprono quattro bifore con colonnine circolari ed archetti trilobati. al di sotto dei finestroni gira tutt'intorno alle pareti un fregio di archetti trilobati in laterizio, disposti a centina.

INTERNO

L'interno della chiesa è di forma basilicale a tre navate, divise da cinque colonne cilindriche in pietra tagliata a cuneo. Nella stessa maniera sono costruiti i piloni dell'arco principale e le antiche mensole che sovrastano le volte rifatte delle due navate laterali.
La navata centrale è sopraelevata; gli archi di valico sono involtati a tutto sesto meno due, il terzo ed il quarto di sinistra, che sono a sesto acuto. Le coperture sono quasi interamente a crociera.
Nella navata di sinistra il Battistero del 1572, fatto innalzare dall'Abate Commendatario Mons. Giulio Parisiani.
La parte inferiore è costituita da un cippo circolare, spartito da cinque infossature, che risale indubbiamente ad epoca anteriore, se non classica come alcuni vogliono, facilmente all'età romanica. La costruzione lignea è del tempo; ha la forma di edificio ecclesiastico ed è lavoro molto accurato. Sulla porticina bella tela del Battesimo di Gesù. Una conca circolare in pietra fa da raccordo alle due parti.
Elevata su dodici gradini la Tribuna, vasta tanto da formare una grande aula quasi quadrata con volta terminata a peducci.
In origine anche la tribuna era decorata con colonne in continuazione di quelle della navata di sotto, ma furono abbattute nel 1625 dall'Abate Commendatario Mons. Ceuli per dare più spazio alla chiesa superiore. Lo stesso abate fece aprire le finestre per dare più luce.
L'altar maggiore non ha alcun pregio artistico. È del secolo XVIII, costruito in muratura e dipinto in finto marmo. Nell'urna sotto la mensa sono le reliquie dei santi Ippolito e Giustino, martiri settempedani.
Il Coro invece è un buon lavoro in noce del XVI e XVII secolo. Curioso il piazzamento dell'organo al posto dello stallo abbaziale.
Sulla parete di sinistra un antico Crocifisso proveniente dalla vetusta chiesa abaziale di S. Michele in Domora, qui trasportato dai monaci nel 1393 quando quella abbazia si riunì a questa di San Lorenzo. L'ornato che lo racchiude è dello scultore Venanzio Bigioli.
Sulla parete di fronte, troppo in alto in verità per essere ammirata, bell'immagine di San Lorenzo del Pomarancio, racchiusa in una mirabile cornice in legno dorato del secolo XVIII. Inoltre una copia della tavola di Lorenzo d'Alessandro, rappresentante la Natività, ora in Pinacoteca.
Sulla sinistra si apre la cappella di S. Filomena vergine settempedana dei primi secoli del cristianesimo. Da qui si passa nella Sacrestia, un'ampia costruzione della fine del XIII secolo. Si sviluppa in due campate quasi quadrate, delimitate da un grande arco acuto, poggiato su due peducci laterali. La copertura è a crociera, su costoloni in cotto. L'aula era un tempo interamente affrescata sia nella volta che nelle pareti.
L'affresco centrale di Lorenzo Salimbeni, firmato e datato al 1407, rappresenta una Crocifissione, quasi interamente distrutta. A sinistra S. Bernardo, S. Eustachio e S. Lorenzo. Notare la mirabile colorazione propria dei fratelli Salimbeni: la dalmatica di S. Lorenzo diventa argentea e vi si rivelano certi toni diafani chiari, oltre alle consuete tonalità in fragola e in marrone.

Cripta
E' senz'altro la parte più interessante della chiesa. Si tratta di una stranissima doppia costruzione con due aule e due absidi. La parte più antica è la prima che incontriamo entrando e nella quale alcuni riconoscono parte dell'antico tempio romano della dea Feronia.
È un locale quadrilatero, diviso in tre ambienti, quasi tre piccole navate, da due grandi arconi a tutto sesto che sorgono dal pavimento e sorreggono le volte a crociera di semplice fattura. Il nicchione o abside del mezzo forse era il luogo dove si celebravano i sacrifici. Le mura di questa cripta sono di pietra travertina cornea e di gesso. Osservando l'esterno della piccola abside si vedono blocchi rettangolari di pietra e una piccola cornice: il loro stato di usura e la loro forma fanno credere che un tempo fossero a contatto con l'aria e gli agenti atmosferici.
L'ambiente fu ampliato verso il IX o X secolo. Il nuovo vano è scandito in tre parti da quattro colonne, impostate su più regolari volte a vela.
L'abside in fondo aveva funzione di coro per i monaci.

L'ordine dei Cistercensi
Ebbe inizio il 21 marzo 1098. I fondatori furono San Roberto di Molesme, Sant'Alberico e Santo Stefano Harding. Questi tre santi benedettini si misero a capo di un movimento di rinnovamento spirituale il cui intento era quello di vivere in pieno la Regola di San Benedetto, alterata nel corso dei secoli da influssi mondani. Era il ritorno alla "puritas", alla semplicità della Regola, ristabilendo così l'equilibrio dell'Ora et Labora. Dal luogo di fondazione, Citeaux (Cistercium) nei pressi di Digione in Francia, i seguaci di tale movimento furono chiamati Cistercensi.
Gli inizi del nuovo Ordine furono difficili, tanto difficili da temerne l'estinzione. Per il tenore di vita che si conduceva a Citeaux, vita aspra e rigida, le vocazioni scarseggiavano. L'abate Stefano, a cui era toccato il governo della comunità, offriva suppliche accorate a Dio affinché desse un segno di continuità all'Ordine, Dopo 14 anni il segno di continuità venne con Bernardo di Clairvaux (1090-1153) che nel 1112 entra a farsi monaco a Citeaux con 30 compagni, scelti tra i suoi parenti. L'estinzione veniva scongiurata; era l'inizio di una nuova vita. Bernardo darà una svolta decisiva: con la sua entrata in monastero, Citeaux non è più capace di contenere l'ondata di postulanti attratti dal fascino spirituale e dalla forza di persuasione presenti in Bernardo.
Si aprono le prime abbazie filiali di Citeaux, tra cui Clairvaux (Chiaravalle), alla cui guida è inviato come abate lo stesso Bernardo. Per la costruzione delle loro abazie ricercano luoghi solitari; per questo si impone loro un immane lavoro di bonifica. Zone paludose, inestricabili selve vengono trasformate dal paziente lavoro dei monaci, dando origine a luoghi di pace, di silenzio di contatto col Divino. I "monaci bianchi", come vengono chiamati, sono apostoli e pionieri di civiltà.
Nella spiritualità e nella mistica segnarono nuove vie. Nella liturgia riportarono la sobrietà e la semplicità. Nella agricoltura riportarono nella società l'amore e l'importanza del lavoro campestre; escogitarono nuove tecniche di bonifica e di irrigazione, ad esempio le marcite nel milanese). Nell'architettura crearono uno stile tutto proprio, sobrio e dignitoso, di cui ancora oggi possiamo ammirare la bellezza.

I Fratelli Salimbeni
Pochissimi sono i documenti lasciatici dai Salimbeni, così che le tappe della loro vita devono essere lette e dedotte dalle opere.
Si sa comunque che erano figli di un lanaiolo, Salimbene di Vigiliccio; che Lorenzo, il maggiore, era senza dubbio la personalità più spiccata e prorompente dei due; che nel 1406 entrambi scomparvero da Sanseverino per ricomparire nel 1416 ad Urbino. Che cosa fanno in quei dieci anni? Lo studioso d'arte Pietro Zampetti ipotizza che i due fratelli abbiano seguito il grande Gentile da Fabriano, il quale in quegli stessi anni raggiunge Venezia ed è poi attivo in Lombardia nel momento di massima fioritura del gusto "cortese".
Un'ulteriore prova della circolazione delle idee, degli stili e degli artisti fra il centro ed il settentrione d'Italia in questo particolare momento.
È possibile indagare sul rapporto tra i due fratelli pittori e rendere giustizia a Jacopo Salimbeni, individuando come suoi parecchi dipinti presenti a Sanseverino e nella vicina San Ginesio, attribuiti fino ad ora al più celebre Lorenzo, ma sicuramente opera del più schivo fratello minore. Lorenzo infatti firmava le sue opere da solo, come nelle Storie di San Lorenzo della sacrestia di San Lorenzo in Doliolo a Sanseverino, o con il fratello, mentre il modesto Jacopo non ha lasciato nessuna firma. È dunque una sottile indagine filologica quella che può restituire a Jacopo la sua personalità, per esempio riconoscendo la sua mano nei dipinti della cappella di Sant'Andrea in quella chiesa di San Lorenzo dove nello stesso tempo il fratello affresca la sacrestia.
Un buon esempio comunque di squadra che rese i due fratelli famosi, ricercati ed assai agiati. Lo dimostra la lite che si accese dopo la morte di Lorenzo (presumibilmente intorno al 1420) tra la giovanissima vedova Vanna ed il suocero sulla spartizione dei beni dell'artista.
L'arte non salvò mastro Lorenzo dall'avidità dei parenti.


Domizia Carafoli

Chiesa di San Lorenzo in Doliolo
L'antica chiesa di S. Lorenzo in Doliolo, secondo la tradizione, venne costruita dai Monaci Basiliani nel VI sec. sulle rovine di un tempio pagano, probabilmente quello dedicato alla dea Feronia.
L'attuale chiesa venne edificata sulla cripta di un preesistente tempio sacro nel XI sec. da alcuni monaci benedettini ai quali non bastavano più i locali ipogei. Rimaneggiata nel XVII sec. e in successive epoche, conserva nella facciata evidenti testimonianze dell'originaria costruzione e la slanciata torre campanaria a bifore risalente al sec. XIV.; alla base del campanile si apre un caratteristico portale romanico.
L'interno ha un impianto basilicale a tre navate divise da colonne cilindriche in pietra, la zona presbiteriale è sopraelevata e le volte sono a crociera. Nella chiesa è possibile ammirare un dipinto del Pomarancio raffigurante S. Lorenzo e un antico crocifisso risalente al XIV sec., il cui ornato fu eseguito da Venanzio Bigioli. Le opere di maggior pregio artistico sono conservate nella sacrestia, un'ampia sala risalente al XIII sec. che venne adibita a refettorio dai monaci e nella cripta. In dette costruzioni sono infatti contenuti affreschi dei celebri pittori settempedani Lorenzo e Jacopo Salimbeni.
La sacrestia è stata restaurata alcuni anni fa e le poche pitture rimaste sono tornate al loro antico splendore, in particolare l'affresco firmato e datato 1407 da Lorenzo Salimbeni rappresentante una Crocifissione.
La cripta presenta un curioso impianto planimetrico: essa è una costruzione con due aule e due absidi, il locale diviso in tre piccole navate è formato da due grandi archi a tutto sesto che partendo dal pavimento, sorreggono le volte a crociera.
Anticamente la cripta era interamente affrescata, ma l'azione del tempo, dell'uomo e dell'umidità hanno provocato gravi danni alle preziose opere d'arte. Gli affreschi meglio conservati sono stati staccati, restaurati e conservati in Pinacoteca.