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1) Per una corretta informazione su questo punto, viene trascritto, per intero
e senza commento, un articolo apparso il 6 novembre 1971 su L’Appennino
camerte, dal titolo:
Che cosa rimarrà di Pitino?
Ho atteso quasi due mesi prima di pubblicare una risposta alla lettera di una
gentile signora, perché speravo di darle buone notizie su Pitino. Purtroppo
molto tempo è trascorso invano, come si vedrà dalle due interviste, che
pubblichiamo a commento della lettera della nostra abbonata. Ecco la lettera di
due mesi fa: «Sono abbonata al vostro giornale e ho notato che negli ultimi
mesi avete spesso pubblicato notizie e articoli sul castello di Pitino, rammaricandovi
dell’abbandono in cui si trova. Mi riferisco in particolare alla lettera
apparsa sul numero del 28 agosto e firmata da R.G. che si chiede cosa pensano
di fare le autorità ecclesiastiche e civili per porre fine a questa situazione.
Vorrei far presente a R.G. e a M.O. che commenta la lettera, che un ingegnere di
Milano, specializzato nel restauro dei castelli, l’anno scorso, tramite mio, si
era interessato presso mons. Martini e don Eugenio Angeloni per l’acquisto
del castello di Pitino. Egli intendeva restaurare l’intero complesso (le chiese e
le abitazioni), nel pieno rispetto dei vincoli posti dalle Belle Arti, per costruire
un centro residenziale o per adibirlo a sede di congressi e seminari.
Come è facile intuire, la realizzazione di questo progetto avrebbe dato
lavoro a mano d’opera locale e avrebbe creato un centro vivo, riportando al suo
valore uno dei più bei monumenti della nostra provincia. Purtroppo nell’aprile
del 1971, al momento di concludere, l’ingegnere milanese ed io siamo rimasti
spiacevolmente sorpresi nell’apprendere che, a causa di un malinteso circa la
proprietà della torre, il castello era già stato venduto; da quanto mi risulta
l’acquirente intende costruirvi un ristorante. Da allora però secondo quanto
Voi dite e quanto ho visto io stessa, nulla è stato fatto e la distruzione dei resti
del castello continua. Forse chi vuole costruire il ristorante aspetta che il
castello sia raso al suolo in modo da costruire un moderno edificio senza
ottemperare ad alcun vincolo? Certo il progetto dell’ingegnere sarebbe stato di
molta maggiore dignità per Pitino!
M.O. (Otello Marcaccini-) che si rammarica tanto dei vandalismi effettuati e
dell’abbandono in cui giace Pitino, non potrebbe interessarsi presso le Belle Arti
e metterli al corrente della situazione affinché vincolassero la zona del castello
(se non lo è già) e ne favorissero l’immediato restauro? Meglio di me sapete che
se si vuole salvare Pitino è assolutamente urgente porvi mano. Io sono a vostra
disposizione per quanto è in mia facoltà di fare». (Lettera firmata).
Ed ora ascoltiamo l’amministratore diocesano, don Eusebio Caciorgnia ed
uno dei due acquirenti, il dott. Pacifico Fattobene (che i lettori conoscono per
aver pubblicato articoli su questo giornale).
A don Eusebio Caciorgnia abbiamo rivolto due domande.
La prima: «È vero che il castello di Pitino era già stato venduto ad un ingegnere
di Milano?». Risposta: «C’era stato un compromesso di vendita sottoposto a
precise condizioni risolutive. Queste si sono verificate. L’ingegnere non si è
fatto più vivo. Comunicai la risoluzione del compromesso, fissando nella
lettera una precisa scadenza. L’ingegnere non rispose nei termini fissati. E si è
fatto vivo dopo la stipula del contratto con gli attuali acquirenti».
Seconda domanda: «Perché, allora, le cose vanno tanto per le lunghe?».
Risposta: «Sono mesi che si sollecita e si aspetta l’autorizzazione prefettizia alla
stipula del rogito notarile necessario perché gli acquirenti possano custodire e
restaurare il complesso di Pitino. Il prefetto, da parte sua, aspetta da mesi un
solo documento: il parere della Sovrintendenza di Ancona. È questo documento
che manca,e che ferma tutto il procedimento. Noi aspettiamo ancora. Ma io
mi sento in dovere di avvertire che, se il castello subirà ulteriori danni ed una
conseguente diminuzione del prezzo di vendita, allora si vedrà chi saranno i
responsabili: se le autorità ecclesiastiche o quelle civili».
Ed ora due domande al dott. Fattobene. La prima: «È vero che lei aspetta
che il castello sia raso al suolo per costruirvi un moderno edificio, un ristoran-
te, senza ottemperare ad alcun vincolo?». Risposta: «Questa domanda, così
com’è formulata, è scorretta e mira a complicare le cose. Tra le varie iniziative
dirette a valorizzare Pitino ci sarebbe anche questa: adattare l’interno di alcuni
locali a bar-ristorante. Quindi, nessuna demolizione, nessun moderno edificio:
anche perché la legge non lo consentirebbe».
Seconda domanda: «Non crede che il progetto dell’ingegnere di Milano, e
cioè un centro residenziale o di studi, sarebbe stato di molta maggiore dignità
per Pitino?». Risposta: «Questo dignitoso progetto del solito architetto venuto
dal nord, io non lo conosco e non so se sia stato redatto ed esibito. Dico però
che né un centro residenziale né un centro studi riuscirebbe senza un
bar-ristorante; a meno che per centro studi non si intenda questo: residenza (non
aperta al pubblico) di uno o due architetti, che vengono con le loro famiglie e
gli amici a “studiare” a Pitino per 15 giorni all’anno. Un simile progetto non
valorizzerebbe Pitino. Vorrei aggiungere che non sono certamente io a causare
la distruzione del castello; e ciò che è stato demolito dall’inciviltà e dalla
delinquenza comune nei giorni passati è poco, rispetto a quello che faranno tra
breve le piogge e domani il vento, se sarà selvaggio» (nota 6).
M. O. (Marcaccini Otello)
Osservazione lampo: Che cosa rimarrà di Pitino? La risposta
(grazie a protettori, amici e vincolanti) è ormai più che sicura: ben poco, di
quello che era! Forse la torre.
2) Cfr. Raoul Paciaroni, La ricostruzione di un castello sanseverinate
alla fine del sec. XV: Truschia. In ”Studi Maceratesi”, XXIV (1988), pp.
521-556. Appendice n. 5, p. 548. Mentre in antico pure dal Municipio
sanseverinate si pretendeva dai privati la ricostruzionedelle mura e dei merli
dei propri castelli, e mentre ora per castelli di altri Comuni si fa la
ricostruzione anche di ciò che è sparito (foto nn.: 34-39) da parecchi decenni,
per Pitino è proibito rimettere a posto perfino i conci appena caduti
nell’eseguire gli stessi lavori di manutenzione.
3) “Comoda, funzionale, di elegante linea moderna”, così la disse (e
senza voler far ridere) quel comico di don Amedeo Gubinelli.
4) Cfr. Amedeo Gubinelli, Il castello di Pitino: perché fu venduto? In
“L’Appennino camerte” n. 24 del 16 giugno 1979.
5) Dico “torre”, perché il reperimento dei mezzi per il rifacimento del
tetto della chiesa di Santa Maria è merito del Sindaco Adriano Vissani.
6) Cfr. foto nn. 156, 157, 245, 246: ricostruzione parziale e restauro
malfatto di ciò che fu demolito dalle intemperie prima e dopo il 1957.
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