[ Un poeta moderno]


DOVE OGNI GIORNO

AFFONDO

DI

SETTIMIO CAMBIO

(11/05/1908 - 06/02/1998)

 

       Un uomo che «ha scaglie di creta» sulle mani, che ha «udito urla e bestemmie di avvinazzati muratori», fra «intrichi di travi» e « aspro odor di calcina»; un poeta che in  «angoscia reclusa » avverte «il grido del male » che «gli rugge dentro», ecco Settimio Cambio, uomo e poeta.

       Se è vero, come è vero, che la poesia ha le sue misteriose scaturigini dagli impulsi e dai moti del cuore e, come diceva De Musset, attraverso le vie del cuore coglie il suo folgorante miracolo, Settimio Cambio può definirsi realmente il «poeta del cuore». Quasi tutte le sue poesie hanno infatti riferimenti diretti o indiretti col « cuore », punto di partenza e di arrivo, sorgente e foce di aspirazioni e di aneliti, di risentimenti e di amarezze, di nostalgie e di speranze.

      Venuto da pochi anni vittoriosamente alla poesia ( la sua raccolta è stata segnalata al premio « Estate pesarese ) in seguito ad una grave sciagura familiare che lo privava prima dell'affetto della sua compagna di vita e di amore, e poi di quello, più tenero e forte, della figlia, il Cambio in questa sobria e concisa «plaquette » poetica mette tutto il suo impegno per chiarire a se stesso ed agli altri il  «tormento» del suo cuore, tormento che con le sue vibranti accensioni e con le sue pause riposanti da a tutto il libro un sapore caldo di umanità ed un aspetto particolare di storia sentimentale.

      Ma non è sempre il «cuore smemorato» che « s'apre al riso come un girasole» o che « oscilla ad ogni fiato di cielo», a creare il motivo lirico. Talvolta è il « cuore malnato » ( che sente tutto il peso dello spasimo terreno, come il « contorto uliveto » avvolto dai viluppi delle nebbie) a produrre il lievito della poesia.

     Il Cambio però, cresciuto a contatto con la Natura selvaggia e pittorescamente amena della sua San Severino Marche, dove è nato e vive, non poteva non trasferire il suo dissidio interiore sullo sfondo circoscritto del suo solare paesaggio, dove le colline sono sempre verdi e dove l'azzurro del cielo filtra da tutte le partì come una benedizione. Non poteva restare insensibile alla divina bellezza del Creatore.  Ma la natura non è che un termine di confronto per misurare la densità del suo stato d'animo ; è un pretesto per trarre «analogie » e sottintesi rapporti spirituali con la propria anima, non viene quindi celebrata « paganamente» in senso classico, ma vissuta religiosamente in senso « romantico

Dolce riva

dove il mio andare ostinato sì frange,

travolto

da questa vita, di cui

solo gli affanni ricordo :

Oh, mi consoli un'eco

del tuo canto eterno ....

          

       Senza dubbio, l'avventura poetica di Settimio Cambio si dibatte in una struggente bodeleriana alternativa, nella quale sembrano mescolarsi due sentimenti opposti e contrastanti : uno - direi - di francescana candida umiltà ed un altro di ribellione e di risentimento, quasi jacoponico. Sono il miele ed il fiele raccolti dal poeta lungo il fiume dell'esistenza ; sono la luce e le tenebre di cui è intriso il mondo, ed a prima vista sembrano quasi inconciliabili, anche se spesso, invece, si conciliano nella Fede, che schiude al poeta oasi di serenante calma e di limpide beatitudini.

        Tuttavia nel mondo or cupo e or trasparente di questo poeta permane l'atteggiamento romantico di «immergere» il dolore nel «fluire delle acque » o nel « tremolare d'ombre » e vi permane come motivo di ebbrezza lirica, come ricerca di oblìo, come tramite per una colorata evasione

        Ed è proprio questo atteggiamento spirituale ( di cui si ammalarono anche i « crepuscolari») a far cadere il Cambio in qualche facile abbandono. Ma è tutt'altro che «debolezza creativa ».

Semmai si può parlare di «debolezza sentimentale », di una esuberanza di sentimento che non trova sempre la sua condensata essenzialità, ma mai di carenza poetica, perché in più pagine il discorso lirico è sostenuto da un polso robusto e virile e più volte si risolve, con semplicità e chiarezza, e senza ricorso a compiacenze letterarie, in un forte chiaroscuro.

      Si consideri poi che il Cambio è un autodidatta nel senso più reale della parola e come autodidatta, venuto dalla grande scuola della vita, va visto e giudicato questo suo primo felice esordio.

       Ignaro dei misteri dell'arte come gli antichi aedi greci che arrivavano all'arte con la sola forza dell' ispirazione ; Egli, per sua fortuna, non ha chiesto nulla in prestito ai poeti che giocano «enigmisticamente » con i sentimenti per porgerli a guisa di preziose sciarade o di stupefacenti liquori inebrianti. Non ha l'ambizione di captare la « sorcellerie» della parola attraverso un calcolo alchimistico e cerebrale. In poche parole, rifugge per istinto dalla poesia «aulica»  o «culta» del contemporaneo gongorismo decadente.

       La sua elementare forma espressiva che si snoda con castità d'accenti e senza presupposti, si definisce efficacemente nella sua leggiadra linearità ed è per se stessa moderna. Moderna nel suo timbro, nella immagine, nella sua naturale dimensione.

     E quel suo colloquio con il mondo, con la natura, con Dio, (colloquio che in più versi lo infiamma e lo addolcisce) se appare sciolto da preoccupazioni stilistiche, è pur vivo e sincero, in quanto in sostanza esso non è che un prepotente bisogno di umanità, un sentimento di ribellione e di sfida alla inerte e piatta realtà «dove ogni giorno affonda».

 

Ma dolce è il volontario

esilio, che di ora in ora

si muta in armonia di vita.

 

      Ma  la realtà  si può  vincere  assaporando  la   dolcezza  del «volontario esilio » per un desiderio più alto: quello di armonizzare la propria vita sentimentale e spirituale con quella cui si è condannati a vivere. Ed ecco allora che al poeta, dopo essersi confessato attraverso la luce della memoria e dopo aver migrato come  un «pastore » fra le sue solitudini, non resta che genuflettersi davanti al volere del Padre ed al Padre invocare la discesa d'un angelo purificatore :

 

Ecco le mie mani

in croce:

mandami un angelo

perché le faccia monde.

 

       Invocazione del cristiano, ma soprattutto invocazione di un poeta, il quale anche quando sente che il dolore gli aggruma il sangue, trova sempre il palpito illuminante della poesia per cantare e per consolare gli uomini, suoi fratelli.

Mario Gorini

 

EDITORIALE  "SENTIERO DELL'ARTE"  PESARO

1951