Fu Giuseppe Moretti a
portare alla luce le preziose mura dell'antica Settempeda
[In questi giorni viene celebrato il 24° della
scomparsa]
Di Livio Angeloni
[Il Messaggero - cronaca di San
Severino - 28/12/1969]
Gli ambienti culturali settempedani
ricordano in questi giorni con particolare solennità il 24° anniversario
della morte di Giuseppe Moretti.
Il Moretti nacque a San Severino nel 1876: laureatosi in lettere presso
la R. Università di Roma, nel 1903, in seguito a concorso, divenne
funzionario della Antichità e Belle Arti nella sede romana. Qui, nei
primi cinque anni di carriera, attese alla descrizione inventariale di
buona parte delle suppellettili del Museo Nazionale Romano.
Fra il 1908 e il 1909 venne incaricato di sostituire, nella direzione
della Soprintendenza alle Antichità del Piemonte e della Liguria,
l'egittologo Ernesto Schiapparelli, temporaneamente impegnato nelle
campagne di scavo in Egitto.
Nel 1914, inviato nell'Anatolia Meridionale per continuarvi, prima con
il prof. Biagio Pace, poi da solo, gli scavi che avevano avuto inizio
l'anno precedente, il Moretti compi viaggi nell'interno della regione e
riconobbe il luogo di due antiche città: una a nord di Adalia (che venne
identificata con l'antica Lagon), l'altra nell'alta valle del Kestros,
da identificare forse con Pednelissos. Successivamente studiò e pubblicò
i relativi reperti archeologici nel terzo volume dell'Annuario della R.
Scuola Archeologica Italiana di Atene.
Dal 1915 al 1917 prese parte, come ufficiale, al pruno conflitto
mondiale, combattendo valorosamente fra l'altro, sull'Altopiano di
Asiago. Reduce, nel 1917-18 ebbe l'incarico di sostituire due colleghi,
richiamati alle armi, nella direzione degli scavi di Ostia e del Museo
delle Terme.
Nella primavera del 1919 la Missione Archeologica Italiana di Asia
Minore riprese i suoi lavori, e il Moretti si applicò al restauro della
porta di Adriano in Adalia, che poi illustrò nell'Annuario della Scuola
di Atene.
Compi inoltre escursioni fra i monti della Psidia: qui riconobbe il
luogo sede di un'antica città (forse Panemuteìchos) e scoprì un
santuario di età classica, la "Caverna Ulisse Aldovrandi", gigantesca
cavità, notevole per le dimensioni e per i molti fenomeni naturali che
la caratterizzano.
L'appassionata e sapiente dedizione al proprio dovere valse
successivamente al Moretti il conferimento della direzione del Musei
Nazionale di Ancona e della Sovrintendenza alle antichità delle Marche
con gli Abruzzi e Zara.
Con zelo costante che lo distingueva, superando notevoli difficoltà'
amministrative ed economiche, riuscì ad ottenere per il Museo, ricco di
prezioso materiale protostorico infelicemente ammassato nel Vecchio
convento degli scalzi, una nuova e più decorosa sede nel convento di San
Francesco delle Scale, che fece liberare dal materiale che lo
ingombrava, restaurare, ripulire e sistemare.
In quegli stessi anni diresse scavi nel territorio a Lui affidato,
riportando alla luce un prezioso frammento dei Fasti Trionfali ad
Urbisaglia, grandiosi mosaici a Sassoferrato. una magnifica anfora
polignotea a Numana e la grande statua del Guerriero di Capestrano,
opera eccezionale, nella sua unicità della scultura italica preromana.
Fra gli scavi condotti nel Maceratese, fulgida e importantissima
testimonianza dell'amore dello studioso per la terra natìa. fu quello
che riportò alla luce le mura e notevoli resti dell'abitato di
Settempeda (odierna San Severino), l'antica città piceno-romana.
L'attività esplorativa del Moretti non trascurò, tuttavia, la sponda
dalmata e, nella zona di Zara, rinvenne un bel tratto del pavimento
dell'antico foro della città romana, con un corredo di statue e di
frammenti architettonici che trovarono degna collocazione nella vetusta
chiesa dì San Donato.
Il 15 dicembre del 1930 venne chiamato a dirigere la Sovrintendenza
delle Antichità e il Museo Nazionale di Roma dove, fra gli altri
compiti, lo attendeva un incarico particolarmente delicato e complesso:
recuperare e ricomporre i resti del monumento forse più venerando della
nostra storia: l'Ara Pacis Augustae, simbolo espressivo della potenza
romana giunta all'apogeo sotto il Principato di Augusto.
Diverse erano le date di reperimento e la collocazione dei frammenti di
quest'opera, che la barbarie fanatica dell'alto Medio Evo aveva
letteralmente fracassato a colpi di mazza e notevolmente difficili
furono il recupero e la ricomposizione di detti frammenti, la cui mole
variava da blocchi di qualche tonnellata a schegge di pochi grammi.
Il conferimento del Premio per la Classe delle Scienze morali e Storiche
che nella solenne adunanza del 21 aprile 1939 la reale Accademia
d'Italia assegnò al grande archeologo in riconoscimento della lunga
attività svolta e, in particolare, dell'opera che ne costituiva il
capolavoro, fu tuttavia amareggiato dal fatto che l'Ara Pacis ricevette,
per volontà superiore, una collocazione ben diversa da quella che il
Moretti aveva opportunamente desiderato.
Inoltre, venne collocato a riposo mentre stava per portare a termine
un'altra opera di grande importanza di cui aveva curato il progetto:
l'isolamento e la sistemazione delle Terme di Diocleziano. Profondamente
amareggiato si spense dopo qualche anno, il 20 luglio 1945.
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