I telescopi diviniani e la loro diffusione

Più complesso ed articolato diventa il discorso intorno ad Eustachio Divini quando si passi ad esaminare la sua vivace operosità di costruttore di telescopi e si voglia accertare il contributo che egli riuscì a dare al progresso tecnologico e scientifico nello specifico settore dell'astronomia. Già a leggere le opericciole che egli scrisse offrendo informazioni sulla sua attività di "artifex" ci si rende conto del successo che verso la metà del secolo le sue lenti ed i suoi "occhiali" incontravano in tutta Europa [15]e questo al di là della polemica vanteria a cui lo spingeva l'urgenza di esaltare e contemporaneamente di difendere dagli attacchi degli antagonisti la qualità dei suoi telescopi e delle osservazioni che essi consentivano; e vengono fuori nomi di appassionati e noti studiosi italiani e stranieri che lungo la via tracciata in quei primi anni del secolo XVII da Galileo andavano indagando nella profondità dello spazio servendosi di lenti e di telescopi realizzati dall'ottico sanseverinate. Quando Antonio Maria Schyrte de Reitha, il frate cappuccino la cui descrizione dei telescopi del Wiesel nel suo Oculus Enoch et Eliae del 1645 rese famoso questo tipo di telescopio, visitò Baldassarre de Monconys a Lione nel tardo 1650, esaminò un telescopio del Divini di 18 piedi acquistato dal Monconys e ne fu tanto impressionato da implorarlo fino a quando il Monconys non gliene fece dono... quando sir Kenelm Dighby lasciò l'Italia portò con sè; non meno di sei telescopi e fu probabilmente uno di questi che il Dighby portò a Gassendi nel 1653. Il Divini inoltre ci riferisce che un esemplare fu acquistato dal nobile inglese Tommaso Paggi (Thomas Page?) [16]. Più copiosa appare naturalmente la diffusione dei telescopi diviniani in Italia; l'autore ci informa di averne inviato uno a Torino, che un altro gli fu acquistato da quel Fabrizio Guastaferri alle cui testimonianze si richiama in varie occasioni [17], un terzo lo aveva inviato al conte Carlo Antonio Manzini, lo studioso che, a lui legato da amicizie e da profonda stima, ne presentava l'effige nella sua opera L'Occhiale all'Occhio [18], un altro ancora al vescovo campano Caramuel [19]. Svariati dovettero essere gli esemplari di cannocchiali e le lenti fatti pervenire a Firenze dove la ricerca astronomica raggiungeva livelli elevatissimi se non altro per il continuo riferimento che scienziati e tecnologi di tutta Europa trovavano in quella coltissima corte granducale grazie a Ferdinando II dei Medici ed al di lui fratello Leopoldo; questi, in particolare, era interessatissimo agli studi di astronomia ed intratteneva una frequentissima corrispondenza con studiosi di molte nazioni; già Torricelli "aveva contribuito dl molto ad aumentare la collezione del granduca Ferdinando con esemplari dell'opera dell'amico" [20].

Molti cannocchiali, di varia lunghezza e di diverso tipo, ce ne informa, nelle sue opere, lo stesso Divini e ce ne riferiscono altre fonti, erano poi posseduti da eminenti autorità ecclesiastiche e laiche di Roma che amavano effettuare con grande passione, osservazioni astronomiche e solevano frequentare lo studio del Divini a cui non mancò il sommo onore, come egli orgogliosamente annota, di ricevervi la visita del Pontefice Alessandro VII [21]; al di là dell'interesse degli studiosi, pur vivissimo, si nutriva a Roma l'ambizione di non rimanere addietro alle altre importanti città italiane ed europee nella ricerca scientifica oltre alla preoccupazione, anch'essa vivissima, di controllarle ed orientarle secondo le convinzioni filosofiche e teologiche del tempo.

Non è certo possibile conoscere il numero dei telescopi che il Divini teneva abitualmente presso di sè; nel suo laboratorio romano sia per utilizzarli nelle sue personali osservazioni o per le osservazioni degli studiosi e così pure per eventuali acquirenti; per la fama che verso la metà del secolo aveva raggiunto e per i guadagni che la sua attività gli procurava, stando alle sue stesse dichiarazioni, è da credersi che non avesse tanto tempo da rimanere ozioso [22]. Oltre a dedicare le sue giornate alla diligentissima lavorazione delle lenti ed alla pratica fabbricazione di microscopi, di telescopi celesti e terrestri, egli frequentava quel circolo di studiosi, laici ed ecclesiastici, che faceva soprattutto capo al Collegio Romano e qui nell'intensa ricerca astronomica si realizzava l'incontro, ed una continua verifica, tra l'acume degli studiosi e la bontà degli strumenti utilizzati. E quello che hanno recentemente messo in evidenza la Righini Bonelli ed il Van Helden scrivendo di Eustachio Divini, e così pure del quasi contemporaneo Fontana, che essi, a differenza del Francini, I'artigiano di cui si era servito Galileo Galilei per i suoi cannocchiali, presero posto nei circoli scientifici, erano bene informati se non dotti, sperimentarono nuovi metodi e sistemi ottici, fecero le loro osservazioni e pubblicarono libri [23].

Non sorprende quindi che noti studiosi italiani e stranieri ne abbiano elogiato l'opera, che la prestigiosa Accademia delle Scienze di Londra gli dedicasse un semibusto con l'iscrizione "Divinus Eustachius de Sancto Severini, insignis mathematicus" [24]; i suoi strumenti ottici continuarono a lungo ad essere utilizzati tanto che, ancora un secolo dopo, le Ienti da lui costruite venivano impiegate dal gesuita maceratese Giuseppe Asclepi per effettuare delle osservazioni dalla specola del Collegio Romano in occasione di un raro evento e cioè del passaggio di Venere attraverso il disco solare [25].