La prima pubblicazione del Divini è rappresentata da una stampa apparsa nel 1649 con la quale egli intendeva documentare le possibilità offerte dai suoi telescopi; infatti vi raffigurava, al centro, una selenografia ricavata da osservazioni effettuate durante il plenilunio di marzo di quell'anno utilizzando due telescopi, all'intorno vi aveva delineato la luna crescente come osservata il 16 di gennaio di un'ora di notte, Saturno con le sue misteriose "anse", osservato nel corso di tre anni e cioè dal 1646 al 1648, Venere "cornigera" osservata il 5 giugno di quell'anno ad un'ora di notte ed infine Giove con le quattro stelle medicee, di cui presentava due disegni, il primo ricavato dalle osservazioni effettuate dal 1646 al 1648 con un telescopio di 15 palmi e con altri ancora più grandi ed il secondo, in cui è a malapena visibile la seconda fascia, ricavato osservando il pianeta con un telescopio di 35 palmi il 6 marzo di quell'anno. L'autore dedica questa sua fatica "quasi ex debito" all'altezza serenissima del Granduca Ferdinando II dichiarando che si accinge ad effettuare altre più esatte osservazioni con un telescopio di 45 palmi da lui recentemente elaborato.
La carta lunare realizzata da Eustachio Divini nel 1649.
Divini, Eustachio (1610-1685), "Lunae facies", tavola 19 in Guericke, Otto von, Experimenta nova, Amsterdam, Apud J. Janssonium a Waesberge, 1672
Nel 1649 il costruttore di telescopi Divini pubblicò una mappa come pieghevole non inserito in alcun libro, con lo scopo di decantare la qualità dei suoi strumenti. In seguito la mappa di Divini fu posta a corredo di due libri: il Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher (1665) e successivamente nell'opera di Guericke, famosa soprattutto per la descrizione degli esperimenti con la pompa ad aria. Entrambe queste opere fanno parte della collezione della Linda Hall Library, ma quella di Guericke, sebbene più piccola e più tarda, è meglio incisa e meno conosciuta. Benché la mappa di Divini sia comunemente considerata come una sua propria opera, tuttavia è evidente che egli ha tenuto un occhio al telescopio e uno al lavoro del suo predecessore Hevelius. Se si mettono a confronto i quadranti di sud-est, e se non si considerano i diversi stili di incisione, le somiglianze sono evidenti, specialmente le orecchie di coniglio di Stevinus e Furnerius in basso e il disegno dei mari sulla destra. Ulteriori rassomiglianze si possono trovare nella rappresentazione della regione intorno a Keplero, del triangolo nel Lacus Mortis (Lago della Morte) e nel sistema di raggi che si diparte da Tycho. Tuttavia le differenze sono in numero sufficiente per poter dire che Divini fece parecchie osservazioni autonomamente
Già il fatto di aver approntato una selenografia assegna il diritto alla memoria storica di Eustachio Divini nel novero dei pochi che in quei primi decenni del '600 si accinsero a riprodurre, più o meno fedelmente la superficie lunare, ma ciò che gli ha meritato una sicura fama è l'aver egli intuito ed applicato, nella sua più semplice e più diretta esperienza pratica, il principio del micrometro. Infatti illustrando i telescopi utilizzati per osservare il plenilunio del marzo del 1649 egli ci fa sapere di essersi servito di un telescopio galileiano di 24 palmi (m. 5,4) e di un telescopio astronomico di 16 palmi (m. 3,6) "instructo versus oculum, non vitro concavo, sed lente vitrea subtilissima filiis adinstar craticulae dispositis operta..."; questo fine reticolo che egli aveva collocato sull'oculare biconvesso e che gli aveva permesso di delineare le macchie della luna e di collocarle ognuna esattissimamente al suo posto di propria mano rappresentava, secondo la Righini Bonelli ed il Van Helden, il primo passo verso il micrometro ed il mirino telescopico [26].
Per Gilberto Govi che nel secolo scorso riusciva a recuperare in Osimo l'incisione in rame della selenografia diviniana, narrandone la vicenda e dedicando un accurato, approfondito studio all'invenzione del micrometro, questa tavola della Luna è invece una testimonianza irrefragabile della invenzione del micrometro oculare [27]; per il McKeon esistono invece varie possibilità di giudizio [28]in base alla interpretazione della presunta discordanza tra il testo della selenografia del 1649 ed un altro noto passo del 1663 in cui il Divini narra che per facilitare un suo amico nel rilevamento di piante aveva costruito un cannocchiale di media lunghezza applicando "nella lente oculare...in distanza della lente poco meno che il suo fuoco, due capelli, che formavano una croce, e veramente fanno un effetto bellissimo, mentre si vedono distintamente, e par che taglino gli oggetti. Per l'appunto nell'istesso modo (???) che feci quando disegnai la mia Luna..." [29]. In base alle ipotesi che i due passi consentono di formulare e cioè; che il reticolo sarebbe stato collocato all'esterno del cannocchiale oppure al suo interno presso il fuoco oppure sull'oculare, lo strumento del Divini, così il McKeon, sarebbe stato, nel primo caso, un prossimo predecessore del micrometro, perché ne avrebbe posseduto la scala e l'immagine ma non il principio, nel secondo caso sarebbe stato invece il primo micrometro o, infine, nel terzo caso, un micrometro allo stato embrionale. A sciogliere i dubbi non può forse bastare l'orgogliosa e consapevole affermazione del Divini: "Quella è stata l'inventione mia?" [30]. Comunque lo stesso McKeon, proprio in base al testo or ora citato, gli riconosce la riscoperta del mirino telescopico, innovazione già effettuata dal Gaiscogne nel 1642 ma caduta nell'oblio e resa nota solo nel 1665 dal Twonley [31]. Si può ipotizzare che l'idea di applicare un reticolo o "craticula" all'oculare sia venuto ad Eustachio dalla dimestichezza che egli aveva a Roma con il fratello Cipriano; questi infatti si stava allora distinguendo come pittore [32]e, all'occorrenza, avrà utilizzato la cosiddetta "graticola" per collocare nei suoi dipinti, con maggiore esattezza, le immagini o parti di immagini. Di una copia della selenografia Eustachio Divini fece dono a San Severino, sua città [33]natia con la quale egli e Cipriano mantenevano costanti, anche se scarsamente documentati, rapporti [34].