Il dualismo onda - particella |
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La fisica del XX
secolo si è sviluppata prepotentemente all’insegna di questo binomio che
ha costituito la chiave di volta su cui poggia l’intero edificio della
meccanica quantistica che è alla base di tutte le maggiore scoperte del
secolo scorso, dall’elettronica quantistica, la spettroscopia molecolare,
la teoria dei laser, fino ad arrivare alla biologia molecolare ed alla
genetica sperimentale.
L’interpretazione
dell’effetto fotoelettrico fornita da Einstein e dell’emissione del corpo
nero data da Planck hanno costituito la base ideale su cui si è sviluppata
la meccanica quantistica in cui ad ogni particella elementare viene
assegnata una natura ondulatoria in modo del tutto analogo a quello
utilizzato nell’assegnare una natura corpuscolare ad una onda
elettromagnetica.
Nei capitoli
precedenti abbiamo visto che la quantizzazione, responsabile dell’effetto
fotoelettrico e dell’emissione del corpo nero, riguarda il processo di
formazione dell’energia radiante più che il campo elettromagnetico a cui
compete esclusivamente il trasporto di tale energia secondo le regole
dell’elettromagnetismo classico.
La costanza della
velocità della luce nel vuoto è quindi attribuibile alle caratteristiche
del campo elettromagnetico più che alla natura corpuscolare della
radiazione elettromagnetica.
La visione
dell’universo che deriva da questa trattazione è quindi completamente
diversa da quella prospettata da Einstein nella sua teoria della
relatività: in questa visione, la terra e gli altri pianeti, il sole e
tutte le altre stelle sono immersi in un campo elettromagnetico
conservativo determinato dalla distribuzione delle cariche
elettromagnetiche sia di elettroni spaiati con il loro momento di spin,
sia di elettroni accoppiati con spin antiparallelo o dei nuclei, che sono
parti costituenti di tutta la materia.
I fenomeni di
emissione o di assorbimento della radiazione sono quindi collegati non
alla entità del campo elettromagnetico nei vari punti dello spazio ma
alla sua variazione nel tempo determinata dai fenomeni naturali od
artificiali. La formazione o la variazione di un dipolo in un atomo od in
una molecola comportano quindi una polarizzazione del campo
elettromagnetico e di conseguenza una polarizzazione delle nuvole
elettroniche che costituiscono la materia. I campi elettromagnetici sono
quindi generati dalla materia ma non coincidono con la materia per cui ci
possono essere campi elettromagnetici anche in porzioni di spazio in cui è
assente la materia cioè dove si assume che l’indice di rifrazione sia
uguale ad uno. In porzioni di spazio in cui è presente materia di una
certa densità, ad esempio un gas od un vetro, ci sarà un aumento dell’interazione con le
nuvole elettroniche degli atomi o delle molecole per cui si avrà una
diminuzione della velocità della luce.
La velocità della luce
è quindi determinata dalla polarizzazione o dalla polarizzabilità degli
elettroni che generano il campo stesso: nel vuoto essa raggiunge il valore
massimo che è collegato con la velocità di spostamento degli elettroni e
cioè con la loro massa inerziale.
Circuiti elettrici
oscillanti determinano la formazione di dipoli elettromagnetici che
generano onde elettromagnetiche, cioè di onde radio, che si propagano
trasversalmente nello spazio, in questo caso la frequenza di vibrazione
del dipolo è molto minore rispetto alla luce visibile, ma la velocità di
propagazione rimane la stessa perché è legata non al generatore di onde ma
alla polarizzabilità del generatore del campo, cioè agli elettroni.
Ritorna così in campo
il concetto di etere così caro a Maxwell e Lorentz e abbandonato più di
cento anni fa. Naturalmente non si tratta di un etere materiale come
quello postulato da Cartesio, cioè di un cielo, od atmosfera, che si muove
con il nostro mondo come gli altri cieli si muovono con il loro mondo ma
di un campo conservativo, analogo al campo gravitazionale, generato anche
esso dalla materia e che si muove con il nostro pianeta e con la nostra
galassia.
Le leggi
dell’elettrodinamica classica, di cui la costanza della velocità della
luce nel vuoto è un elemento basilare, si occupa quindi delle modalità del
trasporto di questi quanti di energia a cui non è associata nessuna massa
e nessuna velocità propria ma solo di un vettore di propagazione
perpendicolare ai vettori di oscillazione del campo elettrico e del campo
magnetico senza nessuna necessità di orologi che rallentano o di regoli
che si accorciano.
La questione che ora
sorge è di vedere se abbandonando il postulato della natura corpuscolare
della radiazione, siamo costretti ad abbandonare il postulato della natura
ondulatoria delle particelle elementari, cioè se siamo costretti ad
abbandonare la meccanica quantistica.
La meccanica
quantistica nello studiare un sistema isolato, si basa sull’invarianza
dell’energia del sistema in totale accordo con l’effetto Doppler
contrariamente alla teoria di Einstein della relatività ristretta che
poneva come costante universale, cioè come invariante, la velocità della
luce intesa come somma di particelle ( fotoni) dotate di massa e velocità
propria.
Rinunciando ad una
trattazione deterministica (e quindi classica) in base al principio di
indeterminazione di Heisenberg che prevede l’impossibilità per una
particella elementare di procedere ad una misurazione della posizione
senza alterarne l’energia, la meccanica quantistica indica con precisione
i valori di energia possibili di un certo stato atomico limitandosi ad
indicare, tramite la funzione d’onda, solo la probabilità di trovare la
particella, ad esempio l’elettrone, in una data zona dello spazio.
Viene quindi
abbandonata una trattazione deterministica per passare ad una trattazione
probabilistica correlata al quadrato delle funzioni d’onda possibili per
un certo sistema atomico o molecolare. La natura ondulatoria di una
particella è legata quindi alla trattazione probabilistica delle equazioni
del moto.
Una delle prove
portate a convalida della teoria della relatività ristretta è la misura
effettuata nel lavoro di carattere
didattico di W. Bertozzi all MIT nel 1963-64.
La curva a losanghe
blu è il calcolo del rapporto (v/c)2 con la formula classica
dell’energia cinetica tenendo conto che K = V*e in cui V è il voltaggio
applicato alle piastre di accelerazione dell’elettrone ed e è la carica
dell’elettrone
la curva a quadrati vuoti è calcolata con la formula relativistica di Einstein
I quadrati gialli sono i valori sperimentali che
come si vede sono ben fittati dalla curva relativistica.
I pallini marroni che hanno lo stesso andamento
della curva relativistica anche se fittano meno bene i dati sperimentali
sono ottenuti da una nuova relazione di tipo classico in cui si tiene
conto del fatto che l’elettrone in movimento provoca una campo magnetico
indotto che agisce in modo da annullare l’effetto del campo elettrico che
provoca l’accelerazione dell’elettrone stesso. L’elettrone cioè si trova
immerso in un campo elettromagnetico locale che agisce da schermo
all’azione del campo elettrico agente.
L’intensità del campo elettromagnetico indotto
che scherma in un certo qual modo la carica dell’elettrone è proporzionale
alla variazione nel tempo del flusso del campo generato dall’elettrone in
movimento; flusso che cambia con il quadrato della distanza infatti
E' = -L dΦ/dt
Possiamo quindi scrivere in queste condizioni che
K = Ee(1-v2/c2)
perché quando l’elettrone raggiunge la velocità
della luce ( od è molto vicino) egli crea un campo magnetico che scherma
totalmente o quasi la sua carica per cui cessa l’interazione
elettrostatica e procede nel moto solo in virtù della legge di inerzia. Ne
consegue quindi la relazione
Ee(1-v2/c2) = ½ mv2
Da cui si ricava
v2/c2 = Ee/(Ee + ½ mc2) = E/(E+0.2558) MeV
che è la relazione plottata in figura.
Le discrepanze del fit potrebbero essere giustificate in termini strumentali,
questo dimostra che il fenomeno osservato da Bertozzi può essere spiegato
senza nessuna necessità di ricorrere alla teoria di Einstein della
relatività ristretta affidandosi esclusivamente alla meccanica ed alla
elettrodinamica classica.
Come si vede nella figura quì riportata il valore c/v trovato dalla teoria
relativistica di Einstein è leggermente diverso da quello trovato da noi
ma per basse ed alte energie le due curve coincidono.
Questa spiegazione giustifica anche il fatto che la velocità della luce è una
velocità limite perché corrisponde alla massima velocità inerziale
raggiungibile dalla particella di più piccole dimensioni oggi conosciuta e
collega la velocità della luce alla velocità di spostamento inerziale
dell’elettrone come avevamo ipotizzato in precedenza.
Rimane ancora da spiegare la relazione che de Broglie ha ricavato per via
relativistica e cioè
λ = h/p
in cui h è la costante di Planck, p = mv è il momento
meccanico della particella e λ è la lunghezza d’onda dell’onda collegata alla particella.
Questa equazione è fondamentale per la
spiegazione della diffrazione elettronica e dei neutroni, ed in generale
per la definizione della meccanica quantistica, ma come vedremo essa può
essere derivata indipendentemente dalla teoria della relatività.
Come punto di partenza possiamo considerare l’effetto fotoelettrico in cui l’energia
cinetica dell’elettrone espulso Ec è uguale alla
energia incidente della radiazione elettromagnetica Ei meno
una energia di soglia che è legata alle caratteristiche del materiale Es
e corrisponde alla transizione di un elettrone dalla sua orbita sino al
livello di ionizzazione, per cui
Ec = Ei - Es
ossia
Ec = ½ mv2 = hνi- hνs =
hν con ν= νi – νs
ovvero
hν = ½ mv2
se immaginiamo un processo in cui due elettroni
vengono espulsi nella stessa direzione, cioè lungo la stessa linea ma con
verso opposto allora abbiamo che
hν = ½ mv2 + ½ mv2 = mv2
una obbiezione potrebbe essere avanzata se consideriamo il fatto che per
espellere due elettroni occorrono due fotoni e che è difficilmente
realizzabile una dispositivo che emette due fotoni nella stessa direzione
ma con verso opposto.
Questo non comporta nessuna difficoltà per il nostro discorso perché possiamo tirare
in ballo il principio della conservazione del momento della quantità di
moto, infatti la quantità di moto determinata dal processo di espulsione
dell’elettrone in una certa direzione ed in certo verso corrisponde una
quantità di moto perfettamente uguale che provoca lo spostamento del
supporto materiale su cui è fissato il materiale fotosensibile.
Dall’ espressione hν = mv2 ricaviamo m=hν/v2 ed ammettiamo, secondo l’ipotesi di de Broglie che tale espressione valga
per qualsiasi onda: quindi possiamo sostituire m=hν/v2 nell’espressione p = mv
p = hν v/v2 = hν/v
ma noi sappiamo che per qualsiasi onda vale la relazione che v = λ ν per cui sostituendo nella precedente espression ν = v/λ si ha
p = hv/vλ
da cui
λ = h/p = h/mv
che è l’equazione di de Broglie ricavata indipendentemente dalla teoria della
relatività e che rimane valica con tutte le sue implicazioni.
Nel caso degli elettroni abbiamo che λ = √150/V
con V espresso in volts e λ in Angstrong. Nel caso di neutroni che hanno una massa 1836 volte quella
dell'elettrone la relazione diventa
λ = √
150/(1836V).
La teoria della relatività di Einstein non ha
quindi nessuna rilevanza nella meccanica quantistica e ciò spiega forse il
suo scetticismo nei confronti della quantomeccanica quando affermava “ Dio
non gioca a dadi con l’universo”.
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