Una altro capitolo, di rilievo, nella vicenda diviniana è; offerto dalla controversia, vivacissima, che si sviluppa dal 1662-63 al 1664 tra Eustachio ed i fratelli Campani, in particolare Giuseppe Campani, [59] un suo più giovane antagonista, i cui telescopi consentiranno clamorose scoperte astronomiche a Domenico Cassini oscurando, in tal modo, la fama già goduta in precedenza dal Divini e dai suoi telescopi. Forse per questo motivo il Tiraboschi ed alcuni storici locali si erano in passato limitati ad offrire un breve cenno ricordando per lo più l'animosità di quella polemica ma senza sbilanciarsi troppo nei giudizi, [60] mentre altri avevano preferito non parlarne affatto [61].
Della vicenda si è invece largamente occupata ma in tempi assai recenti Maria Luisa Righini Bonelli in seguito al rinvenimento di inediti manoscritti nell'archivio fiorentino di casa Ginori Venturi, [62] che le hanno consentito nel già citato Divini and Campani, la ricerca condotta insieme al Van Helden, di completare, aggiungendo e sviluppando anzi un nuovo, sconosciuto capitolo, a quanto si sapeva sull'argomento attraverso, soprattutto, le opere dei due antagonisti e cioè; le due lettere del Divini al Manzini, quella del 1663 e l'altra del 1666 ed il Ragguaglio di Nuove Osservazioni di Giuseppe Campani senza per altro trascurare varie altre fonti bibliografiche antiche e recenti [63].
I due studiosi hanno ordinatamente illustrato gli avvenimenti della singolare controversia su piano storico e scientifico dalla descrizione dei vari "paragoni" che si susseguirono dal 1663 al 1664 con il confronto, nascosto o aperto, tra i telescopi del Divini e quelli realizzati dai fratelli Don Matteo e Giuseppe Campani, all'analisi dei successi conseguiti nella esplorazione astronomica con i telescopi dei Campani, alla ricostruzione infine delle prove che l'Accademia del Cimento organizzò su iniziativa di Ferdinando II e di Leopoldo dei Medici per accertare se i telescopi del Campani fossero davvero superiori a quelli del Divini impiegando serie di parole o di lettere su cartelloni, un anticipo delle moderne tavole oftalmologiche.
La nostra attenzione viene innanzitutto richiamata dal particolare clima che segna l'avvio della vicenda e che lo stesso Divini ci evoca; infatti nella Lettera al Manzini del 1663 oltre ad illustrargli alcune sue sperimentazioni ed "invenzioni", di cui si è già fatto cenno, lo informa che "va girone, con qualche pompa un'Occhiale dicono di palmi dieci con 4 vetri, e danno nome, per quanto mi vien detto, che sia venuto d'Olanda si crede però sia fatto a Roma; questi tali sono andati raggirando dove han potuto sapere che siano occhiali miei; e si sono fatte delle prove" [64]. Si trattava appunto di un gran daffare dei fratelli Matteo e Giuseppe Campani che facendo credere costruito in Olanda il cannocchiale da loro realizzato cercavano in tutti i modi di confrontarlo con quelli del Divini per dimostrare che era potente quanto il suo di venti palmi, ma a sua insaputa o in sua assenza forse per impedire che questi potesse intuire il segreto del nuovo oculare composto da essi utilizzato [65]. A fornirci tali informazioni è lo stesso Divini; sappiamo che un "paragone" ebbe luogo nel 1663 nel monastero dei Gesuiti ai Santi Giovanni e Paolo; Fabrizio Guastaferri, grande suo amico. presentò un cannocchiale diviniano di 8 palmi (1,8 m), i Campani quello, spacciato per olandese, di 10 palmi (2,2 m ); la prova venne ad un certo punto interrotta dal Guastaferri a causa del comportamento ambiguo dei due fratelli [66].
Una seconda prova è sempre riferita nella suddetta Lettera del 1633 [67] dal Divini che cerca di sminuire gli antagonisti ironizzando sui loro misteri, contestando la validità delle prove anche perché effettuate con cannocchiali diversi fra loro e condotte sempre in modo da svantaggiarlo e proponendo una prova con tanto di scommessa, duecento scudi da parte sua contro cento da parte dei Campani o qualsiasi altra somma, maggiore o minore che fosse; egli, certo di aver la meglio, avrebbe poi impiegato la vincita "a favore di qualche opera pia, come saria maritar Zitelle, o pure consegnare una Campana a qualche Chiesa povera" [68].
Eustachio Divini non poteva certo immaginare, quando lanciava la sua sfida tecnologica ai Campani, che nel giro di due anni i suoi antagonisti sarebbero riusciti ad affermare la superiorità dei loro telescopi grazie soprattutto alle scoperte effettuate con essi da loro e da Domenico Cassini.
Da quel momento infatti si snoda una serie di varie vicende all'insegna della più accesa competizione e della più vivace polemica; innanzitutto nei "paragoni" nei quali, a sentire il Divini, si seguita a far ricorso dai Campani a tutti i sotterfugi pur di svantaggiarlo Verso la fine di Ottobre del 1663 viene effettuato il primo "paragone" aperto nel giardino di Mattia de' Medici alla Navicella, alla presenza di illustri personaggi ecclesiastici e laici, di "virtuosi", di scienziati tra cui Domenico Cassini; in questa occasione il confronto si conclude con un risultato ex-aequo poiché si accerta che il telescopio dei Campani consente una visione più "chiara" degli oggetti, la sfida era tra telescopi terrestri, mentre quello del Divini offre un maggiore ingrandimento [69].
Più tormentato invece il "paragone" che ha luogo il 30 Aprile dell'anno successivo che, così il Divini, "seguì in un Giardino, ed io fui mandato a chiamare a hore 21 senza sapere a che fare, e trovai aggiustato il suo occhiale (quello del Campani) di palmi 50 con 4 lenti nel suo Cavalletto, ò Machina, et il mio di palmi 52 il primo da me fabbricato con la nuova invenzione di lenti duplicate et arrovesciate fermato sopra Sedie d'appoggio ..." [70], un modo, anche questo di manifestare noncuranza e disprezzo per l'ottico sanseverinate. E dire che il suo telescopio era quello acquistato, a caro prezzo, ben 500 scudi, dal card. Chigi, un telescopio piuttosto elaborato in cui ciascuna lente, ad eccezione dell'oculare, era formata, come appunto il Divini ci informa, di due lenti eguali pianoconvesse a stretto contatto fra loro dal lato convesso il che consentiva un più ampio campo visuale ed una riduzione delle frange di colore, in tutto insomma sette lenti. Eppure le immagini che esso offriva erano più scadenti di quelle offerte dal telescopio del Campani che non mancò di renderne edotti gli studiosi del tempo. Per il Divini il trauma fu tanto violento da indurlo ad impegnarsi a costruire, al Card. Chigi che era presente a quel "paragone", un miglior cannocchiale ed a riconoscere le migliori qualità del telescopio del suo avversario [71].
Nel frattempo il Campani aveva accertato l'esistenza dell'anello di Saturno ipotizzato a suo tempo dall'Huygens, una sconfessione questa del discorso portato avanti dal Fabri nella Lettera diviniana del 1661: nel Ragguaglio di due Nuove Osservazioni [72] sviluppava poi una fiera polemica contro il Divini pur non facendone il nome nell'opera ma citandolo in molte copie al margine delle pagine in cui è descritto il "paragone"del 30 Aprile; infine in un foglio a stampa di poco posteriore raffigurava Saturno con l'anello e Giove con le ombre di due suoi satelliti così come osservate dal Cassini utilizzando un suo telescopio. Le notizie, naturalmente, circolavano negli ambienti scientifici ed Eustachio Divini si trovava ormai a malpartito, vedeva crollare la fama che si era costruito nel giro di circa quindici anni di successi incontrastati; per difendere la bontà dei suoi strumenti rinnova le prove [73] e compila la Lettera al Manzini del 1666 in cui, in polemica con il Cassini, rivendica ai suoi telescopi la capacità di scrutare su Giove, di individuarvi le pretese "macchie" e "ombre" come documentato dalle osservazioni effettuate da Salvatore e Francesco Serra alla presenza di illustri studiosi della Compagnia di Gesù [74] e poi, in polemica con Giuseppe Campani, contesta quanto da questi affermato nel suo Ragguaglio in merito ai "paragoni", alla lavorazione delle lenti, al problema della eliminazione dei colori, etc [75].
Tra i "paragoni" riferiti nella sua suddetta Lettera il Divini ricorda brevemente anche quello che ebbe luogo il 22 dicembre del 1664 presso a San Pietro a Montoro [76] e che fa parte del gruppo di esperimenti condotti a Roma da Paolo Falconieri su indicazioni fornitegli da Firenze da Lorenzo Magalotti, segretario dell'Accademia del Cimento; si desiderava infatti dal Granduca Ferdinando II e dal Principe Leopoldo che venissero comparati tra loro i telescopi dei due antagonisti per accertarne le rispettive qualità.
La Righini Bonelli ed il Van Helden hanno focalizzato questo momento [77] per evidenziare gli espedienti escogitati, nell'ambiente dell'Accademia del Cimento, al fine di assicurare la massima serietà, il massimo rigore scientifico alle prove che si andavano effettuando. Si utilizzavano allora, per questo tipo di esperimenti, dei cartelloni su cui erano stampati dei versi di autori piuttosto noti se non famosi; l'illuminazione veniva ottenuta collocando in ciascun lato una lanterna sistemata in modo da non offendere la vista degli osservatori. Si era però intuito dal Magalotti [78] e lo confermava da Roma il Falconieri che a persone dotate di buona cultura era possibile ricostruire quei versi anche nel caso che il cannocchiale utilizzato non consentisse di per sè una completa, chiara lettura di tutte le singole lettere ma soltanto di alcune loro; pertanto il Falconieri provvedeva a far stampare sui cartelloni serie di parole prive di senso [79], ma subito dopo da Firenze gli pervenivano, su suggerimento del Granduca, dei cartelloni in cui erano liberamente mescolate tra di loro le varie lettere dell'alfabeto, un'anticipazione questa delle tavole che "rivissero nel campo della scienza oftalmologica nel 1854 con Jaeger e furono stampate poi nel 1862 dallo Snelleir in forma di "ottotipi " che ancor oggi usiamo per la prova della vista" [80].
Nei confronti romani non si riesce comunque ad accertare la superiorità dell'uno o dell'altro dei due ottici anche perché non vengono sempre rispettate le regole del giuoco; c'è innanzitutto la reticenza dei Campani a confrontarsi apertamente con il Divini mentre questi, da parte sua, teme di incappare in qualche raggiro a suo danno ad opera specialmente di Don Matteo Campani "degli artifizi del quale è spaventatissimo" [81]; per i Campani l'aria di Roma è troppo grassa rispetto a Firenze, quindi "più opaco il mezzo che s'interpone fra l'occhio e l'oggetto si sarebbe osservato con pregiudizio della bontà dell'occhiale" [82]; aggiungeva il Falconieri: "...non c'è vantaggio che i Campani non procurino, a segno che mi fanno venire l'accidia, dove Eustachio quella sera non s'accostò mai ai lumi, nè mai fiatò" [83].
Al contrario, in uno di questi esperimenti, i fratelli Campani avevano spostato la lanterna più vicino al cartellone [84].
Le prove vengono effettuate a novembre al Collegio Romano [85], ai primi di dicembre, con tre telescopi dei Campani e cinque del Divini, a Palazzo Panfili in Piazza Navona [86] e il 22 Dicembre a S. Pietro a Montorio dove Giuseppe Campani si fa accompagnare dal fratello Don Matteo ed Eustachio Divini a sua volta da Cipriano che propone una scommessa di duecento scudi rifiutata però dai Campani [87]; in questa occasione vengono messi a confronto tre telescopi di 50 palmi (m.11.2), uno del Campani e due del Divini e cioè; quello già presentato in aprile e un secondo costruito dopo quella prova per lui negativa. Paolo Falconieri si preoccupa di far partecipare a questo paragone illustri personalità ecclesiastiche tra cui i cardinali Borromeo, Flavio Chigi e Carlo Pio di Savoia oltre a Don Agostino Chigi e molti virtuosi "perché il rispetto delle persone impedisca una furia di Cazzotti; peraltro facilissima a succedere" [88]; tanto basta a farci intuire il clima di accesissima competizione tra il Divini ed il Campani ed a farci capire perché alla conclusione i cardinali mantengono una significativa neutralità mentre gli altri, almeno in pubblico, preferiscono non azzardare giudizi [89]. "Se volete ch'io vi dica il mio parere - così il Falconieri al Magalotti - non lo so, perché non s'è operato con quelle sottigliezze che si richiedano quando si vogliono conoscere differenze minime, perché minime sono le differenze fra le cose esquisite, basta però che il Campani ha quasi ceduto il campo perché non ha accettata la scommessa di 100 dobloni (200 scudi) ch'ha esibito il fratello di Eustachio" [90].
Per qualche mese ancora la questione rimane irrisolta, comunque il Granduca Ferdinando II e il Principe Leopoldo acquistano ora telescopi sia del Divini sia del Campani per effettuare personali osservazioni su Saturno e su Giove; quando però nel luglio del 1665 perviene a Firenze un telescopio campaniano di 50 palmi, costruito per il card. Borromeo, si constata che è effettivamente superiore ad ogni altro telescopio di egual lunghezza. A questo punto la controversia può considerarsi conclusa; cade anche la proposta di un altro tipo di gara e cioè la lavorazione da parte dei due ottici, in assoluta parità di condizioni, di obiettivi con una determinata lunghezza focale [91] mentre il Cassini prosegue, con crescente successo, nella serie delle sue scoperte astronomiche utilizzando i telescopi del Campani [92].
Per la Righini Bonelli e per il Van Helden il Campani ebbe la fortuna di avere nel Cassini il più intelligente astronomo dopo Galileo a differenza del Divini che nel Fabbri "aveva uno scadente osservatore che subordinava l'evidenza a eccentriche nozioni filosofiche. Divini era doppiamente sfortunato: era nato troppo presto ed era mal servito dai suoi consiglieri ed osservatori. Dovremmo comunque renderci conto che il Cassini finchè fu a Roma fece osservazioni con telescopi del Divini così bene come con quelli del Campani. Possiamo supporre che preferisse gli strumenti del Campani. Sembra chiaro comunque che se non ci fosse stato il Campani, Cassini avrebbe fatto molte delle stesse scoperte, forse un po' più tardi, con i telescopi costruiti dal Divini" [93].
Le vicende successive di Eustachio Divini sono, almeno per ora, piuttosto in ombra; tuttavia nella Lettera del 1666 egli ricorda, con orgoglio come non gli siano venuti a mancare estimatori e clienti: "...i miei occhiali hanno perso niente in quelle prove, mentre dopo, et anco al presente mi sono venuti ordini di Firenze di lavori per diversi altri Signori. Finalmente concluderò con un atto generosissimo del medesimo Serenissimo Gran Duca, che alli 18 Ottobre prossimo passato venne a casa mia l'Illustrissimo Signore Paolo Falconieri, e mi presentò una bellissima Collana d'oro con gran medaglia appesa con il ritratto di S.A.Sereniss; e dall'altra parte un bellissimo ramo di rose, con il motto che dice: Gratia Obvia Ultio Quaesita..." [94].